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Mio figlio ancora non parla.... mi devo preoccupare? La parola alla pedagogista
Bambini - Articoli
Scritto da Eva Forte/Marcella Atzori     Lunedì 09 Novembre 2009 08:58    PDF Stampa E-mail
Bla BlaNegli ultimi anni si è visto come i bambini moderni comincino a parlare con modalità diverse rispetto ai propri genitori. Molti bambini, grazie alle molteplici sollecitazioni che gli arrivano da un mondo più tecnologico e pensato ad hoc per i bambini, hanno una capacità nel parlare veramente sorprendente. allo stesso tempo però vediamo moltissimi genitori preoccupati perchè il proprio figlio non comincia a parlare come i suoi amichetti.

Per capirne qualcosa di più abbiamo intervistato la dott.ssa Marcella Atzori, Pedagogista.

Di seguito troverete in grassetto le nostre domande e a seguire le relative risposte.

Negli ultimi anni si è notato un crescente numero di bambini che hanno iniziato a parlare sempre più tardi. Ci può essere una concausa nell’utilizzo della televisione e dei videogiochi da parte dei bimbi?


Il fenomeno del ritardo nell’insorgenza del linguaggio nei bambini affonda le sue radici in molteplici ragioni e circostanze, tra le quali vi è certamente anche l’uso improprio di Tv e videogames.

Secondo una ricerca dell’Università di Washington e pubblicata sulla rivista di pediatria Archives of Pediatric & Adolescent Medicine, mentre la Tv è accesa i neonati tenderebbero ad emettere meno suoni verbali e a ricevere meno parole dai propri genitori, determinandosi un ritardo nel loro sviluppo cognitivo associato al linguaggio. I risultati hanno mostrato che, per ogni ora di televisione accesa, i piccoli percepiscono una media di 770 parole in meno, una riduzione pari a circa il 7% della comunicazione totale tra genitori e bimbi. “Un adulto tipicamente pronuncia circa 900 parole all’ora: il nostro studio ha scoperto che le parole degli adulti vengono quasi completamente eliminate quando la televisione è udibile” ha spiegato Dimitri A. Christakis, principale autore della ricerca.

Bambini davanti alla TV

L’American Academy of Pediatrics raccomanda attualmente di non esporre i piccoli al di sotto dei 2 anni alle immagini della Tv, né alla luce emessa da qualsiasi altro schermo elettronico. Se proprio non se ne può fare a meno occorre limitare l’uso di questi strumenti a pochi e brevi momenti della giornata, ad esempio spegnendo la Tv quando è finito il programma d’interesse ed evitando di utilizzarla come riempitivo.

Certamente se utilizzati in maniera coscienziosa (con contenuti appropriati, evitando quelli violenti ed iperstimolanti), sia televisione che videogiochi possono contribuire allo sviluppo di alcune competenze, poichè oltre a fungere da modello di comportamento, offrire informazioni e spunti di riflessione, coinvolgono abilità di logica, memoria, sequenzialità e visuo-spazialità, elementi importanti per gli apprendimenti futuri. L’uso risulta negativo se entrambi vengono utilizzati come “baby sitter”, per intrattenere i bambini ai quali oggi si ha sempre meno tempo da dedicare. Il bambino è solo: solo nell’ascolto, solo nel chiedersi senza avere risposte, nel lasciarsi investire da una realtà che spesso non è in grado di comprendere e davanti alla quale è soggetto passivo. In particolare sarebbe la velocità delle immagini e la mancanza di una loro connessione logica a deformare il suo senso della realtà.

Il tempo eccessivamente lungo trascorso davanti allo schermo ha poi un peso altrettanto rilevante: impedisce di dedicarsi a giochi più creativi e può essere causa di disturbi come ansia, aggressività, mancanza di attenzione, asocialità e apatia, disturbi del sonno e distacco dalla realtà. Poiché Tv e videogames offrono una realtà predefinita (e fruita in maniera molto rapida) l’immaginazione non può che uscirne mutilata.
In effetti è da constatare come sempre più bambini mostrino disinteresse e insofferenza di fronte a giochi che richiedano calma e attenzione, perché ormai abituati a ritmi molto serrati di esecuzione che richiedono quasi un automatismo privo di strategie. Questo risulta ancor più importante se si considera che lo sviluppo del gioco è essenzialmente legato a quello del linguaggio.

I nuovi genitori, hanno atteggiamenti che possono causare un ritardo nel parlare dei bambini?

Come già detto, per via dei ritmi frenetici cui sottostanno, talvolta i genitori sono poco presenti nella vita dei propri figli e poco attenti a offrire loro un valido stile comunicativo. Non dare spiegazioni, anticipare le richieste per accelerare i tempi o evitare capricci  induce a liquidare rapidamente le esigenze dei bambini senza che essi abbiano realmente l’opportunità di formularle.

L’uso indiscriminato di mezzi artificiali in termini di tempo (spesso si parla di ore), ostacola indubbiamente il dialogo e il confronto e se un tempo si attendeva l’ora dei pasti perché la famiglia si riunisse e si potesse raccontare, ora genitori e figli non hanno più modo d’incontrarsi in questo spazio, anch’esso profanato dal piccolo schermo.

Occorre ricercare e riappropriarsi di spazi totalmente dedicati al bambino in cui accogliere la sua esigenza di crescita e in cui coltivare la relazione, migliorando la qualità del tempo trascorso insieme.

Quando bisogna preoccuparsi? A che età si deve ricorrere al logopedista?


Gli scienziati ci spiegano che il cervello sviluppa un sistema unico dalla nascita ai tre anni e che le acquisizioni conquistate in questo arco di tempo sono fondamentali per maturare le vie neuronali che in condizioni di passività non si creano.

Benchè non ci si debba subito allarmare (ci possono essere casi in cui la comunicazione "sboccia" dopo i 2 anni), è bene monitorare lo sviluppo del linguaggio  rivolgendosi eventualmente al pediatra che, se necessario, invierà ad uno specialista per l’approfondimento del caso. Certamente un bambino che all’età di 2 anni non mostri alcuna intenzionalità comunicativa (non dimentichiamo che il linguaggio è uno strumento per la socialità) deve destare preoccupazione. Teniamo sempre conto delle differenze ambientali e individuali e riflettiamo sulle ragioni del silenzio e l’assenza di volontà a comunicare, poiché queste possono celare disturbi ben più gravi come autismo, sordità, mutismo da trauma.

Ci sono segnali che possono mettere in guardia il genitore?

Un bambino eccessivamente taciturno, che si isola, che non mostra interesse a comunicare deve impensierire il genitore. Un bambino che non riesce a esprimersi nonostante si sforzi, che si innervosisce e diviene aggressivo, che farfuglia o emette un linguaggio non comprensibile, può essere sintomo di un disturbo più grave.

In generale, oltre al ritardo nell'esordio della parola, tra i disturbi del linguaggio si distinguono un ritardo semplice (in cui è interessato il livello fonologico), un ritardo specifico (dove a essere interessati sono, oltre al livello fonemico, quello sintattico e semantico) e un ritardo secondario (correlato ad altra patologia).

Nel ritardo semplice il carattere dismaturativo del disturbo depone a favore di un’evoluzione rapida e positiva del problema, sebbene necessiti di un trattamento specifico ed una monitorazione nel tempo. Altra cosa per il ritardo specifico, la cui prognosi è più grave essendo tutti i livelli linguistici compromessi e dove, nonostante un intervento riabilitativo che corregga il disturbo, le competenze sintattiche e lessicali rimangono ridotte. Nei ritardi secondari invece il grado di recupero dipende principalmente dal quadro patologico di base: per questo è sempre auspicata una diagnosi quanto più precoce.
          
Un bambino con normale sviluppo del linguaggio a 3 mesi è in grado di emettere suoni simili a quelli linguistici, a 6 mesi lalla, a 12 usa frasi monotermine, a 24 quelle nucleari. Fra i 2 e i 4 anni si assiste ad un crescente arricchimento delle intenzioni comunicative: compaiono prima la richiesta di attenzione e azione e poi quelle d’informazione. A 36/48 mesi il bambino dovrebbe possedere tutte le strutture sottostanti la lingua.
Dobbiamo comunque dire che è difficile diagnosticare un ritardo, in quanto l’acquisizione del linguaggio perdura nel tempo.

Come si deve approcciare un genitore con un bambino intorno al secondo anno di età per quanto riguarda l’apprendimento delle parole?


Come abbiamo evinto dallo studio di Christakis è opportuno occuparsi sin da subito di promuovere lo sviluppo del linguaggio e la crescita cerebrale dei bambini, stimolando attività come parlare, giocare, leggere, cantare e divertirsi con la musica.

Innanzitutto è importante stimolare nel bambino la voglia di imparare a parlare: facciamogli scoprire che il linguaggio è qualcosa di piacevole e divertente, dimostrandogli col tono della voce e il sorriso che anche per noi parlare con lui è un piacere che si rinnova ogni giorno.

Per stimolare e mantenere viva l’attenzione, motivandolo a comunicare, usiamo l’espressione mimica, la gestualità, la modulazione espressiva della voce, utilizziamo giochi attraenti, ritmici e artistici. Attiriamo l’attenzione sul nostro parlare, fornendo un linguaggio significativo che accompagni le azioni più comuni e l’uso degli oggetti di tutti i giorni, poiché il  linguaggio si impara solo se associato ad una realtà sicuramente conosciuta. Facciamo in modo che ci sia contatto visivo, in modo che il bambino possa apprendere dall’osservazione della nostra pronuncia.

Favoriamo soprattutto la comprensione: insegniamogli che tutto ha un nome e utilizziamo frasi complete ma non troppo lunghe. Nei primi tempi dimostriamo tutto il nostro interesse per qualsiasi suono che il bambino riesca a produrre e imitiamolo per consentirne la riproduzione. Lodiamolo ogni volta che usa la sua voce, in modo che sia incoraggiato ad aumentare la sua produzione sonora.

Usiamo la correzione indiretta perché non si senta frustrato e riduca il suo impegno: elogiamolo quando pronuncia le prime parole anche se queste non saranno perfette (non potranno esserlo!) facendo seguire la forma corretta. Facciamo in modo che il bambino non si esprima solo indicando o accennando una richiesta ma formuliamogli domande tali che non possa rispondere solo con un sì o con un no, ma sia indotto a strutturare un pensiero.

Quando il bambino usa la parola isolata accogliamo questo messaggio sintetico  rimandandoglielo con un’approvazione iniziale seguita dalla frase completa.

Ampliamo il suo vocabolario con parole sempre nuove che aggiungano dettaglio a quello che osserva e che vorrebbe esprimere e aiutiamolo a scoprire la relazione tra le cose. Espandiamo il linguaggio in modo da favorire l’organizzazione del suo pensiero.

Non stanchiamoci mai di ripetere, perché i bambini possano copiare i messaggi verbali in tutti i dettagli di forma e significato.

Ma sopratutto agiamo sempre rispettando lo sviluppo armonico della sua personalità.
 

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