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Emicrania in crescita nei bambini sotto i 12 anni
Bambini - Articoli
Scritto da Letizia Perugia     Lunedì 13 Aprile 2015 14:00    PDF Stampa E-mail
bambiniL'emicrania, nei bambini, viene diagnosticata con troppo ritardo, questo causa delle difficoltà significative nel mantenimento delle buone condizioni di salute: questo è il punto della situazione emerso nel corso di un incontro dell'Osservatorio Paidoss per l'infanzia tenutosi recentemente a Capri. L'emicrania colpisce il 9% degli under 12 secondo alcuni studi scientifici, prima che venga diagnosticata passano da una media di due anni fino a picchi di tre.
 
Non riuscire a diagnosticare velocemente il mal di testa nei bambini porta ad un ritardo significativo nel raggiungimento del benessere degli stessi, ma anche ad un pessimo meccanismo di non controllo che rischia di “sommergere” molti casi costringendo i minori a estenuanti visite specialistiche inutili nella ricerca della vera causa. 
 
Bambino mal di testa

L’emicrania è una patologia che è necessario venga riconosciuta nella sua natura, dai genitori e dalle realtà che si prendono cura dei bambini al di fuori della loro abitazione, lo sottolinea il prof. Bruno Colombo, autore di uno studio che si è occupato di studiare il fenomeno.
 
Servono programmi educazionali per rendere più partecipi i pediatri, una cultura della patologia anche minima per riuscire a cogliere tutti quei casi che arrivano troppo tardi, dopo essere passati da specialisti non idonei o attraverso test diagnostici costosi e non risolutivi.
 
Il tempo medio per ottenere una diagnosi di emicrania per i bambini è di tre anni, un periodo lunghissimo nel quale il piccolo di solito rimane senza trattamenti efficaci e viene sballottato da una parte all’altra e sottoposto a visite e stress inutili. 
 
Un gap che potrebbe essere risolto, secondo gli esperti, grazie ad una maggiore attenzione da parte dei genitori ed un questionario specifico da proporre da parte dei pediatri, focalizzandosi sulla possibilità di una famigliarità per l’emicrania.
 
Quando la diagnosi arriva, la terapia va scelta con attenzione: bisogna favorire i rimedi naturali e medicina alternativa, fitoterapia, solo nei casi estremi utilizzare i classici antidolorifici. 
 
Nel frattempo si deve cambiare lo stile di vita: eliminare dei cibi non indicati per chi soffre di questa malattia ed evitare le cure fai da te.
 
I primi a dover accorgersi del problema sono i genitori, questi devono osservare il bambino e operare in sinergia con i pediatri, che devono avere invece una formazione di base sul tema. 
 
Il genitore dovrebbe iniziare a preoccuparsi innanzitutto se anche lui soffre di emicrania, come sottolinea Bruno Colombo, responsabile del centro per la cura e la diagnosi delle cefalee dell'età pediatrica ed adulta dell'università Vita-salute, ospedale San Raffaele di Milano. 
 
La familiarità aumenta del 40% il rischio, e del 70% se a soffrirne sono entrambi i genitori, poi si deve osservare il comportamento del bambino. 
 
Un bimbo che soffre di emicrania, che ha spesso anche sintomi come vomito e nausea, si ritira dalle attività sociali, evita lo sforzo fisico e ha dei comportamenti che devono essere presi sul serio. 
 
Il pediatra, con poche domande mirate può confermare il sospetto e una volta ottenuta una diagnosi certa il consiglio è di tenere un diario delle crisi. 
 
Se si supera il limite di 4 attacchi al mese si deve intervenire con le terapie, si stanno ottenendo buoni risultati con la Ginkgolide B insieme a coenzima Q10, vitamina B12 e magnesio, tutte sostanze naturali, mentre in casi più gravi si possono usare antidolorifici a minore impatto. 
 
Purtroppo le basi neurofisiologiche dell'emicrania non si conoscono ancora, sebbene siano i neurotrasmettitori (serotonina) e le proteine della membrana neuronale ad essere coinvolti, si sa che siamo di fronte ad alterazioni transitorie del funzionamento delle cellule nervose. 
 
Nelle diagnosi si distinguono le cefalee primarie (emicrania, cefalea muscolo-tensiva, cefalea a grappolo, quest'ultima un tempo ) e le cefalee secondarie (secondarie a patologie cerebrali, craniali o psichiatriche, oltre a quelle derivanti da abuso di farmaci, ad es. analgesici), infine le nevralgie craniali, tra cui la nevralgia del trigemino.
 
 

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