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Anche in Italia esiste il test del Dna fetale per prevedere la Sindrome di Down, ma è poco conosciuto
Gravidanza - Articoli
Scritto da Letizia Perugia     Martedì 29 Ottobre 2013 13:00    PDF Stampa E-mail
dna logoDal primo gennaio di quest'anno circola in Italia, e dal 2011 negli Usa, una nuova offerta per le future mamme: il test del Dna libero o del Dna fetale che permette di prevedere con certezza "quasi assoluta" la sindrome di Down e altre alterazioni cromosomiche del nascituro, con un semplice prelievo di sangue, ma questa scoperta è passata abbastanza inosservata.
 
Si tratta di un test che rappresenta una novità clamorosa anche se non è ancora l’esame perfetto visto (non è in grado di scoprire con certezza tutte le possibili alterazioni genetiche che possono provocare malformazioni o malattie nel nascituro), il problema forse è il suo prezzo elevato (1000 euro).
 
Esame del sangue, gravidanza

L’esame richiede un semplice prelievo di sangue materno ed è in grado di individuare la trisomia 21 (l’alterazione cromosomica che comporta la sindrome di Down) con il 99,5% di probabilità, più di qualsiasi altro test di screening conosciuto, con un’affidabilità vicinissima a quella degli unici esami diagnostici sicuri cioè amniocentesi e villocentesi, ma senza il rischio di aborto che questi comportano. 
 
Lo stesso vale per le altre due trisomie più comuni, la “18” (sindrome di Edwards, 1 su 6 mila nati) e la “13” (sindrome di Patau, 1 su 10 mila), se pure con un’accuratezza minore, comunque superiore al 90%. 
 
I falsi positivi sono, secondo gli studi effettuati, tra lo 0,1 e lo 0,5%. Il test è già in commercio con almeno con almeno 5 brand diversi, a un prezzo elevato, ma che dagli iniziali 1.200 euro è già sceso sotto i 1.000. 
 
Da quest’anno anche alcuni laboratori privati italiani dispongono del kit di prelievo: da qui il materiale biologico viene spedito in uno dei sei laboratori al mondo che sono per ora in grado di svolgere questa analisi. 
 
I dati degli studi finora effettuati sono schiaccianti, come ha dichiarato il professor Luigi Fedele, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia della Mangiagalli di Milano, questo è l’inizio di un cambiamento epocale, soprattutto per l’Italia, dove si registra una percentuale molto alta, più che negli altri Paesi, di amniocentesi e villocentesi. 
 
Quello che sperano gli esperti è di poter offrire a tutte le donne questo test, una volta che sia ufficialmente validato.
 
Come è nato e come è stato sviluppato questo test? Fin dagli anni '90 gli scienziati cercavano di percorrere quella che sembrava la strada più logica ossia trovare nel sangue materno cellule fetali e cercare di decifrarne il patrimonio genetico. 
 
Le cellule fetali sono presenti nel flusso sanguigno, ma la loro “lettura” si rivelò assai complicata: occorreva estrarle, coltivarle e sottoporle a un’analisi genetica. 
 
Tali cellule si rivelarono poco adatte a questo processo, spesso non erano integre, perché era molto complesso coltivarle e anche perché, si scoprì successivamente, nel sangue di una madre non primipara è possibile trovare le cellule dei figli precedenti. 
 
La svolta venne nel 1997, quando un professore cinese di Hong Kong, Dannis Lo, annunciò in un famoso articolo sulla rivista "The Lancet" la presenza nel sangue di filamenti di Dna libero (piccoli frammenti circolanti composti da una mescolanza di materiale genetico materno e fetale) prodotti dalla gravidanza in corso. 
 
Questi filamenti di Dna libero sembravano ancora più difficili da decifrare e invece, grazie alle tecniche di sequenziazione ed espansione del materiale genetico e soprattutto alla recente conoscenza della nostra mappa cromosomica, è stato fatto.
 
Il processo è assai complesso, ma in pratica si procede facendo moltiplicare i frammenti di queste piccolissime quantità di Dna che la “libreria” genetica classifica come caratteristici dei un determinato cromosoma. 
 
Dopo di che si procede a una valutazione quantitativa. La trisomia 21, responsabile della sindrome di Down, è così chiamata perché accanto ai due cromosomi 21 (i cromosomi sono sempre in coppia) ce n’è un terzo o parte di un terzo. 
 
Una quantità anomala di frammenti di cromosoma 21, superiore a uno standard conosciuto, segnala la sindrome di Down.
 
Allo stesso modo, si è proceduto per le altre due trisomie, la 18 e la 13, la stessa stima può essere effettuata per i cromosomi sessuali, la 24° coppia, che sono chiamati X e Y, per la loro forma: come è noto le femmine hanno una doppia X e i maschi una X e un’ Y. 
 
Quello che è interessante è il fatto che anche i cromosomi sessuali possono essere tre o anche uno solo, alterazioni non così rare come si pensa e che danno origine a diverse sindromi: quella di Klinefelter (XXY), di Jacob (XYY), di Turner (X), e quella detta Triplo (XXX). 
 
Anche queste anomalie dunque sono facilmente individuabili con la stessa tecnica. In questo campo si pone però il problema che in molti casi queste sindromi non comportano problemi di salute o mentali (molti se ne accorgono per caso da adulti di avere queste varianti) e si teme quindi un eccesso eugenetico.
 
Lo, con la sua équipe di Hong Kong, ha sviluppato nell’arco di un decennio le idee e le tecniche che hanno portato alla realizzazione del test. 
 
Dopo è iniziata la battaglia commerciale, tuttora in corso, che ha portato alla nascita di quattro società californiane e di una cinese che si contendono un mercato che si prospetta molto lucroso. 
 
Sul piano scientifico, una ricerca multicentrica (NICE) conclusa nel 2011, guidata dall’Università di Stanford e due studi indipendenti condotti da un centro pubblico inglese guidato dal prestigioso professor Kyprios Nicolaides, hanno portato alla validazione del test da parte di molte società scientifiche, americane e internazionali. 
 
Non c’è invece alcuna approvazione da parte dell'FDA o da parte del'’Emea, perché l’esame viene considerato test di screening e non diagnostico
 
Gli unici esami diagnostici certi sono amniocentesi e villocentesi quindi se una donna risultasse positiva a uno di questi test dovrebbe sottoporsi all’esame per confermare la diagnosi. 
 
Tutti gli studi sono per ora convincenti, ma è tuttora in corso, un grande studio su una vasta popolazione di gestanti (non solo quelle considerate a rischio), soprattutto per chiarire la quantità di falsi positivi. 
 
 

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