La cura del Parkinson nella crema antirughe
Benessere - Articoli
Scritto da leoncina     Martedì 20 Agosto 2013 09:30 Stampa
vasetto Potrebbe risiedere in un ingrediente contenuto in molte creme antirughe, la chinetina, il futuro per la cura del Parkinson. A rivelarlo è una ricerca americana, dell'Università della California a San Francisco, pubblicata sulla rivista scientifica Cell.

Secondo gli scienziati questo ingrediente attivo, un fitormone, cioè un ormone vegetale che regola la crescita e la differenziazione cellulare ritardando l'invecchiamento cutaneo, sarebbe in grado di rallentare la progressiva degenerazione delle cellule cerebrali che caratterizza il morbo di Parkinson e in alcuni casi di fermarla del tutto. La scoperta è frutto di uno studio lungo anni, iniziato nel 2004 con l'osservazione di una famiglia italiana in cui c'erano diversi casi di questa malattia.

viso crema antirughe
L'esame del nucleo familiare ha permesso di "isolare" la proteina che con la sua mutazione era responsabile della trasmissione del Parkinson, chiamata Pink1: nel tentativo di bloccarne gli effetti si sono osservati per la prima volta i benefici della chinetina sulle cellule cerebrali danneggiate dal Parkinson.

Per il momento, precisano gli studiosi, i test svolti sono di tipo biochimico e cellulare, presto inizieranno quelli sugli animali che potranno dare delle conferme in più anche se per il Parkinson, non sono indispensabili. Di certo i risultati fin qui ottenuti sono già molto incoraggianti,come spiega il professor Kevan Shokat, che insieme al suo team ha svolto la ricerca e che definisce la chinetina "una molecola interessante da analizzare, sicura e che ha il vantaggio di essere reperibile piuttosto facilmente, visto che si trova in diverse creme antirughe".

Se le analisi degli effetti di questa molecola sui topi di laboratorio con diversi tipi di Parkinson daranno i risultati sperati inizierà anche la sperimentazione sull'uomo, che come spiega il professor Shokat partirà proprio dai pazienti che hanno una mutazione della proteina Pink1, come nel caso della famiglia italiana osservata nello studio, per poi estendersi a tutti gli altri.

Fonte: Cell

 

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